Il revisionismo storico di Ernst Nolte

 

 

 

 

"L' “Arcipelago Gulag" non precedette Auschwitz? Non fu lo "sterminio di classe" dei bolscevichi il prius logico e fattuale dello "sterminio di razza" dei nazionalsocialisti?[...] Non compì Hitler, non compirono i nazionalsocialisti un'azione "asiatica" forse soltanto perché consideravano se stessi e i propri simili vittime potenziali o effettive di un'azione "asiatica"?"

(Ernst Nolte, Il passato che non vuole passare)

 

 

 

 

 

 

Bastano queste parole, che hanno l’immediato sapore amaro del revisionismo, per scatenare, nella Germania federale del 1986, l’Historikerstreit, un’accesissima disputa tra storici, filosofi, politologi: espressione di quel problema che opprimeva, fin dall’inizio del secondo dopoguerra, la coscienza e la memoria della popolazione tedesca.

"Il motivo iniziale del dibattito sulla vera o presunta unicità, originarietà, non comparabilità dei crimini nazisti - culminanti nello sterminio degli ebrei in Europa - è il punto d'incrocio esplosivo di questioni concernenti la memoria storica dei tedeschi e il loro peculiare problema di identità nazionale, l'orientamento della più recente storiografia con le sue istanze pedagogiche verso la cultura politica e l'opinione pubblica, infine la valutazione del ciclo delle violenze di massa e genocidi che hanno segnato la storia europea (soprattutto nelle aree centro - orientali ) nella prima metà del secolo." (G. E .Rusconi, Germania: un passato che non passa)

 

Coscienza e memoria pesanti, quelle di un paese che aveva applaudito o era rimasto in silenzio di fronte all’atrocità dei crimini nazisti: pesanti ancor più in un clima di silenzio, un clima che Nolte, nonostante quell’ombra di revisionismo che copre il suo lavoro, ha avuto il merito di spezzare, aprendo l’Historikerstreit.

Proprio su questo “peso” si concentra il lavoro di Nolte: “La sua preoccupazione per il “passato che non vuole passare” scrive ancora Rusconi “non è una strategia dell’oblio, ma una sorta di terapia mentale. E’ convinto, infatti, che i tedeschi soffrano tutt’oggi sotto lo stigma della “colpa collettiva”. Capire perché Hitler abbia commesso i suoi crimini come replica o anticipazione dei crimini stanliniani, dovrebbe aiutare i tedeschi a liberarsi non solo da quello stigma, ma da un modo di pensare “collettivistico” o totalizzante, che era alla radice della patologia cognitiva hitleriana. Inquadrando, collegando le violenze naziste alla catena di violenze e genocidi iniziati con la Prima guerra mondiale, verrebbero meno sia l’ “unicità” dei crimini nazisti, sia il blocco mentale dei tedeschi verso il loro passato”.

Ma lasciamo da parte l’evoluzione e le motivazioni dell’Historikerstreit, e torniamo a quell’affermazione iniziale, al Gulag come prius logico e fattuale di Auschwitz, per arrivare a capire come Nolte inserisca le due Guerre Mondiali in questa prospettiva.

Lo stesso Nolte spiega così la sua contestata tesi:

 

“La mia tesi non consiste nell’affermare che dai gulag dovesse necessariamente avere origine Auschwitz. Ho detto piuttosto che, se nella testa di Adolf Hitler non si fosse formata l’idea secondo la quale gli ebrei erano responsabili dei gulag e del cosiddetto Terrore Rosso del 1919 e 1920, non ci sarebbe potuta essere Auschwitz. Ossia senza il gulag, passando per la testa di Hitler e dei suoi sostenitori più prossimi, niente Auschwitz.”

 

Alcune considerazioni, sulle più evidenti contraddizioni insite in questa tesi, e in tutto il lavoro di Nolte.

La prima. Citando Rusconi: “Da un lato Nolte invita a storicizzare il nazismo, a non farne il “male assoluto” del secolo; dall’altro però indicandone la causa prima nel bolscevismo compie un’operazione di “scaricamento” che rischia di fare del comunismo il “male del secolo”.

La seconda. Il fondamento di questa sua tesi sembra essere, più che il complesso e forse spesso “debole” sistema di analogie che costruisce in opere successive all’ Historikerstreit come Nazionalsocialismo e bolscevismo (sistema che di per sé non basterebbe comunque a determinare un reale nesso causale tra i due fenomeni), la ricostruzione di un processo mentale, quasi una postuma psicanalisi di Hitler e dei suoi sostenitori più prossimi”, che, proprio in quanto postuma non può avere un reale valore scientifico. E non può che sembrare un’operazione alquanto “azzardata” basare su questo l’analisi di un “fenomeno” tanto complesso e tanto terribile quale fu Auschwitz, con il sistema di idee e di odio che aveva alle spalle.

Anche Rusconi, nella prefazione a Nazionalsocialismo e bolscevismo, evidenzia questo carattere dell’opera di Nolte, che lui definisce “approccio cognitivo” all’analisi storica, esprimendo molte riserve.

 

“[Nolte] ricostruisce la vicenda storica attraverso i processi di emozione, immaginazione, memorizzazione degli attori storici.”; “In realtà tutto l’impianto di Nolte è di un semplicismo inaccettabile. Precedenze cronologiche, affinità, influenze, reciprocità documentabili nelle proiezioni psicologiche dei protagonisti non possono essere interpretate come nessi causa-effetto di due fenomeni sociali e politici complessi come il nazismo e il comunismo sovietico, che vanno spiegati con ragioni interne.”

 

Ciò nonostante, Nolte non vede in questo un limite del suo lavoro “Non c’è alcun nesso causale e scientifico fra il gulag e Auschwitz, ma c’è un nesso causale mediato dalle teste degli uomini; […] il gulag è una conditio sine qua non per Auschwitz e la connessione si fonda solo su una ideologia nella testa di Hitler.”

“Nella misura in cui Hitler e Himmler addossavano agli ebrei la responsabilità di un processo che li aveva gettati nel panico, portavano l’originario concetto di annientamento dei bolscevichi entro una nuova dimensione e con l’atrocità della loro azione superavano quegli ideologi genuini [i bolscevichi], sostituendo l’iniziale punto di vista sociale con quello biologico”.

 

Va comunque fatta una precisazione. Se l’affermazione sul Gulag come “prius logico e fattuale di Auschwitz” viene condivisa da pochissimi altri studiosi, molti sono comunque concordi nell’individuare una forte connessione tra antiebraismo e antibolscevismo.

 

“Non c’è dubbio che la Rivoluzione d’Ottobre provoca un enorme impatto nell’opinione pubblica internazionale. Sia in Europa, sia in America si diffonde il mito del complotto ebraico-bolscevico. Allora, da questo punto di vista, non solo Nolte, ma ad esempio anche il grande storico ebreo americano, Mayer, ha insistito sul legame antiebraismo e antibolscevismo. Hitler è convinto, è deciso ad estirpare quello che lui ritiene l’agente patogeno esterno, l’intellettuale ebreo, che con la sua azione infetta la società e provoca la sovversione. Ma subito aggiungiamo che c’è alle spalle una tradizione antisemita che ha individuato e bollato negli ebrei questi presunti agenti patogeni esterni.”

(Da un’intervista a Domenico Losurdo, ordinario di Storia della filosofia all’Università di Urbino)

 

Rusconi, in un altro passo dell’introduzione a Nazionalsocialismo e bolscevismo:

 

“Ciò che conta, per Nolte, non è la consistenza della rappresentanza sociale del partito comunista, la solidità della linea politica o le prospettive realistiche di un suo successo, ma le emozioni collettive che il partito solleva, anzi la paura che suscita l’effetto imitativo, rafforzativo e generatore di un contromovimento. Gli è indifferente che la rivoluzione comunista sia una possibilità effettiva oppure una semplice fantasia. Reale è il terrore della prospettiva rivoluzionaria.

Questo tipo di lettura, ricca di suggestione per la comprensione dei movimenti collettivi, diventa unilaterale se esaurisce l’analisi storico-politica.”

 

Ed ancora Nolte, commentando le parole di Himmler -“Di fronte al nostro popolo avevamo il diritto morale, anzi il dovere, di annientare questo popolo che voleva annientare noi”-:

 

“Il dato di fatto esatto che stava dietro a queste affermazioni era che il partito dei bolscevichi si era effettivamente prefisso lo scopo di abbattere la borghesia mondiale. […] Il più grande errore storico e morale risiedeva però nel fatto che questo grande conflitto tra classi e culture venisse interpretato come lotta mortale tra due popoli, i tedeschi e gli ebrei […] sostituendo l’iniziale punto di vista sociale con quello ideologico.”

 

E con questo arriviamo al nocciolo della questione, perché qui Nolte fa un passo avanti evidenziando esplicitamente la centralità che ha, in tutta la sua analisi, il “conflitto tra classi e culture” - che viene in seguito a coincidere con la “lotta mortale” tra tedeschi ed ebrei - rispetto all’arco di tempo che unisce la realizzazione del bolscevismo con il dominio nazista, il 1917-1945.

Ad introduzione del suo Nazionalsocialismo e Bolscevismo, sotto il titolo di “Prospettive per l’epoca delle Guerre Mondiali”, scriverà: “Nulla sembra essere più scontato, senza tuttavia esserlo affatto, della tesi secondo cui la prospettiva più adeguata nella quale il bolscevismo e l’Unione Sovietica, il nazionalsocialismo e il Terzo Reich dovrebbero venir considerati è quella di una guerra civile europea.

Una prospettiva, la guerra civile europea, condivisa da molti storici, che, però, ne danno un’interpretazione molto diversa – e forse anche molto più fondata. Infatti, mentre Nolte la vede come contrasto delle grandi ideologie nazionali e transnazionali fascismo/comunismo, privilegiando così una lettura molto più semplice e “accattivante”, ma ovviamente non per questo corretta, molti altri storici, tra i quali lo stesso Rusconi, la considerano in riferimento alla nazione a ai nazionalismi.

“Non c’è dubbio che l’inizio della “guerra civile europea” debba essere posto nel 1914 in coincidenza con la rottura del famoso “concerto” o “equilibrio di potenze”, che era molto più di un meccanismo di forze controbilanciate: dietro a esso c’era una certa idea di Europa, delle nazioni, di civiltà europea. […] anche per Rosario Romeo il secondo conflitto mondiale rappresenta “l’ultimo e più tragico risultato dei principi e dei valori nazionali che erano stati al centro della vita europea nei centocinquant’anni seguiti alla rivoluzione francese ed erano giunti a un culmine di estrema esaltazione dopo il 1918””

Scrive sempre Rusconi. E aggiunge, in riferimento anche alla prima Guerra Mondiale:

Di conseguenza, la guerra civile non può dispiegarsi che come guerra totale ideologicamente e tecnicamente. Questo è già il nucleo nella prima guerra mondiale, che crea identificazioni collettive di un’intensità storicamente inedita. […] la guerra in corso [nel 1917] era già civile, in senso diverso, ma non meno sconvolgente, perché investiva in profondità il senso di identità e di appartenenza nazionale di larghi strati di popolazione come nessun’altra guerra precedente.”

 

Qui Rusconi utilizza quindi “civile” in un senso molto diverso da quello di Nolte: per quest’ultimo, “civile”, “bürgerlich”, “è sinonimo di borghese”, e la guerra civile è “guerra alla borghesia e per estensione alla società che essa incarna e interpreta ideologicamente”, mentre per lo storico italiano “civile” in quanto sconvolge e coinvolge milioni di civili, rivoluzionando così lo stesso concetto di guerra. E. J. Hobsbawm, definendo, ne Il secolo breve, la seconda guerra mondiale una guerra civile internazionale, si servirà del termine “civile” in un modo ancora differente, anche se per certi versi simile a quello di Rusconi, e scriverà: Fu una guerra civile perché l’opposizione tra forze fasciste e antifasciste era interna ad ogni società.”.

 

Ma torniamo ora a Nolte, e alle considerazioni che lo spingono a formulare la tesi di una guerra civile europea. Ne diamo, grazie alle parole di Rusconi, una breve sintesi: 

 

“Questo procedimento ha tre passaggi. Innanzitutto la “guerra civile” è una realtà definita dall’intenzione dei soggetti sociali e politici, più esattamente dai “partiti della guerra civile”. Storicamente questi sono i partiti comunisti e i partiti fascisti- primo fra tutti, in ordine cronologico, il fascismo italiano.                   

 

E, scrive lo stesso Nolte qualche pagina dopo, “[il fascismo italiano] considerava sé stesso un secondo partito della guerra civile radicalmente contrapposto [al partito del socialismo rivoluzionario]”;

 

“Il secondo passaggio riguarda la trasposizione del concetto di guerra civile delle parti o partiti allo Stato come tale. Nel 1917 con i bolscevichi, nel !922 con i fascisti italiani, nel 1933 con i nazionalsocialisti tedeschi, si creano “Stati della guerra civile”. Tuttavia, per le particolari condizioni sia della rivoluzione russa che della presa del potere fascista in Italia, occorre attendere il 1933 tedesco perché si creino le condizioni “ideali” per la guerra civile europea. L’epoca del fascismo diventa così l’epoca della guerra civile europea.

“Il terzo passaggio è l’emergere e l’approfondirsi qualitativo del rapporto tra bolscevismo, stalinismo e nazionalsocialismo, secondo quei processi di modello e contromodello di cui abbiamo parlato. […] “guerra di classe”, indirizzata non già a singoli individui ma a gruppi sociali come tali, senza ritrarsi davanti al genocidio, diventa il modello di tutti i partiti della guerra civile fascisti. Di più: se il comunismo sovietico dichiara la guerra al capitalismo, minacciando al cuore la civiltà europea, i fascismi possono presentarsi come difensori dell’Europa”

 

Qualche considerazione finale. Si è appena accennato, grazie alle parole di Rusconi, all’Europa, un soggetto che, anche se presente nella formula “guerra civile europea”, suona totalmente, o quasi, estraneo nell’orizzonte aperto dal lavoro noltiano. Nel conflitto descritto da Nolte sono infatti presenti “ingombranti” Stati, Germania e Unione Sovietica, ancor più “ingombranti” ideologie e un abbozzato terreno comune nel quale esse si scontrano. Ma a ben vedere manca l’Europa e mancano le pur sempre liberali Francia e Inghilterra. “A dispetto della centralità dello scenario europeo, in Nolte non c’è neppure una vera problematica dell’Europa. L’Europa infatti è tutta assorbita nell’ottica della questione tedesca: non esiste una Francia democratica, non esiste una Gran Bretagna. I problemi specifici delle grandi democrazie europee negli anni venti o trenta rimangono sfocati, o visti soltanto attraverso le unilateralità di Versailles. Manca insomma in Nolte un’analisi storica in grado di cogliere davvero la dinamica europea e mondiale che porta alla seconda guerra mondiale.”

Molte contraddizioni, quindi, si sommano nel lavoro di Nolte: contraddizioni che hanno in comune il sapore dell’unilateralità. Una caratteristica presente e nell’impostazione dell’analisi storiografica (anche se recentemente Nolte ha in parte rivisto il suo lavoro affermando che “la storia del ventesimo secolo può essere descritta come l’intreccio di due guerre tra Stati e una guerra civile mondiale”) e in quella prospettiva “germano-centrica”, se così si può definirla, che lo storico sembra possedere non solo quando dimentica l’Europa dalla sua analisi storica, ma anche, forse, nella pretesa di liberare la coscienza e la memoria della popolazione tedesca “scaricando” la responsabilità storica del nazionalsocialismo sul bolscevismo (una prospettiva che, è bene ricordare, dominava anche l’universo nazionalsocialista).

Terminiamo con le parole di Rusconi, storico che ad analizzare il lavoro di Nolte ha dedicato, come abbiamo visto, molte delle sue opere.

 

“Lo choc della rivoluzione bolscevica e in particolare del terrore rosso (per quanto esagerato nelle fantasie proiettive), che Nolte documenta, rappresenta un fattore decisivo per la genesi, la mentalità e la forza d’attrazione del nazionalsocialismo. Ma il controeffetto di terrore imitativo che si ha a livello di grandi emozioni e si materializza negli apparati organizzativi non può assurgere tout court a causa di un fenomeno politico, culturale e sociologico come il nazionalsocialismo.”