1° PARADOSSO
Salviati
incomincia a sbalordire i suoi interlocutori con un
argomento paradossale:
Presi due esagoni regolari
concentrici, li fece rotolare sopra una linea AS; finita
"l' intera
conversione",
riproduzione dell'esperienza
Galileo-Salviati risponde che se avessimo un poligono con centomila lati, la linea percorsa dal poligono maggiore sarebbe uguale a quella percorsa dal poligono minore " ma con l'interposizione di centomila spazi vacui trasposti ".
Se si ripete il ragionamento nel caso dei cerchi, anche le linee BF, CE e AD percorse rispettivamente dal cerchio maggiore, dal minore e dal centro sarebbero uguali.
Salviati si domanda:
" Hor como dunque può senza salti scorrere il cerchio minore una linea tanto maggiore della sua circonferenza?
Nel caso dei cerchi - che sono poligoni con infiniti lati - la linea "passata" dagli infiniti lati del cerchio grande è uguagliata da quella passata dagli infiniti lati del cerchio minore, ma con l'interposizione di altrettanti, cioè infiniti, spazi vacui:
"...sì come i lati non son quanti (finiti), ma bene infiniti, così gli interposti vacui non son quanti ma infiniti: quelli, cioè, infiniti punti son tutti pieni; questi infiniti punti parte son pieni e parte son vacui."
Galileo afferma che sia le semplici linee, sia le superfici e i corpi solidi vanno considerati "composti di infiniti atomi non quanti". In tale modo potè giustificare il paradosso della linea percorsa dalle due circonferenze.
Ricordiamo che già
Aristotele,
nei
Mechanica,
affrontò questo problema detto della "ruota", che veniva enunciato così: " ...entrambi (i cerchi), se concentrici, compiono la medesima rotazione, se invece separati ne compiono due diverse." La giustificazione che diede Galilei a questo problema non lasciò soddisfatti i suoi contemporanei (in particolare Descartes lo criticò aspramente) e produsse alcune perplessità anche tra i suoi allievi e amici.
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