MONUMENTO FUNEBRE A MARIA CRISTINA D'AUSTRIA

 

Canova, Monumento funebre a Maria Cristina d'Austria (1798-1805)
marmo, h cm 574, Vienna, Augustinerkirche

 

«Quella piramide bianca non è simbolo o emblema; è il modello di una forma assoluta a cui tendono le forme "relative" delle figure. Mettendosi in rapporto diretto con quella forma assoluta, ciascuna delle figure assume un senso d'assoluto: qualcosa dell'assolutezza della morte si mescola alla relatività delle sembianze vitali». Così G.C. Argan, nel 1970, sintetizzava il fascino inquietante del monumento a Maria Cristina, uno dei passi più alti e meditati in quella poetica dei «Sepolcri» che attraversa tutta la carriera di Canova.

II monumento fu commissionato nell'agosto del 1798 dal principe Alberto di Sassonia per commemorare la moglie defunta, figlia prediletta dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria. II programma iconografico del complesso fu dettato scrupolosamente dal principe Alberto, che intendeva commemorare le attività caritative e assistenziali della consorte verso gli orfani e gli anziani: la Beneficenza guida verso il sepolcro una bambina e un vecchio cieco; la Virtù reca il vaso con le ceneri della defunta; la Felicità, accompagnata da un putto, sostiene il medaglione-ritratto di Maria Cristina, circondato dall'uroboro (il serpente che si morde la coda), simbolo antico di eternità. Alto circa 6 metri e destinato alla Augustinerkirche, la chiesa di corte inglobata nel palazzo imperiale dì Vienna, il monumento comprende sette figure monumentali a tutto tondo e altre tre in rilievo collocate sulla parte alta della piramide. II primo disegno fu inviato a Vienna nel novembre del 1798. Dopo una serie di contatti epistolari, di invii di disegni e di modelli e di correzioni indicate dal committente, nel luglio del 1800 erano pronti tutti i modelli in gesso (ora conservati a Possagno). Nel corso dei cinque anni successivi vennero realizzati i marmi: il monumento venne montato tra il 12 giugno e il 27 settembre del 1805.

II monumento all'arciduchessa Maria Cristina è impostato su un alto podio a tre livelli, che diventano i gradini di una scalinata lungo la quale si collocano i personaggi: a destra, un genio funerario alato con un leone disteso, che contrappongono le loro masse a quelle della funebre processione; sul lato opposto, un vecchio accompagnato da una fanciulla con un serto di fiori; in mezzo, ma con un incedere da sinistra verso destra, una giovane donna che sorregge l'urna delle ceneri, avviata a capo chino verso l'ingresso della piramide, fiancheggiata da due bambine, sempre con il motivo della ghirlanda floreale. Punto focale della composizione è la bassa porta posta al centro della piramide, soglia oscura che divide il mondo dei viventi dal regno delle tenebre. Canova ha accentuato il contrasto attraverso la contrapposizione fra il candore del marmo e il buio profondo della camera sepolcrale.

Canova riprende per l'occasione le intuizioni già sviluppate alcuni anni prima, all'epoca dei lavori per il monumento a Tiziano da erigersi nella chiesa dei Frari di Venezia. Anche alcune singole figure del monumento viennese sono tratte da opere precedenti: nel gruppo del sensuale genio funerario e del leone giacente Canova riprende l'analoga composizione della tomba di papa Clemente XIII, mentre il vecchio curvo ricorda da vicino (pur se in controparte) il personaggio del rilievo Dar da mangiare agli affamati.

II monumento viennese testimonia la crescente reputazione europea del Canova e l'assoluto risalto internazionale della carriera dello scultore. Tra i suoi committenti si contavano Napoleone, la famiglia imperiale, Caterina di Russia, Ferdinando IV e Carlo III di Borbone re di Napoli, Luigi I di Baviera, l'imperatore Francesco II e numerosi pari d'Inghilterra. Ma la committenza imperiale cade in un particolare momento storico, riflesso in modo profondo nell'animo di Canova. Venezia ha appena perso la millenaria indipendenza. Poco prima del trattato di Campoformio (1797), con cui Napoleone cede la Serenissima all'Austria, Canova scrive: «Veggo l'Italia tutta, anzi l'Europa tutta talmente ruinosa che se non fossi trattenuto da tante cose che mi incatenano qui, sarei tentato di andare in America perché mi sento morire per il povero nostro stato che tanto amo». Ancora una volta, il percorso umano e poetico di Canova si intreccia con quello di Foscolo.

I due sentimenti contrapposti (la struggente intensità della bellezza naturale e l'inesorabile incedere della storia e del tempo) trovano un punto di equilibrio sottile nel monumento di Maria Cristina. Simbolo e sintesi di questa poetica è il telo che scivola lungo i gradini della parte sinistra e sembra quasi scorrere sotto i piedi dei personaggi: ai panneggi gonfi e tempestosi delle tombe berniniane si sostituisce la precarietà di questo drappo silenzioso e leggero, realizzato con impressionante virtuosismo mimetico; analogamente, dalla drammaticità barocca, ancora presente nelle prime opere di Canova, si passa a un'immagine meditata, carica di interiorità. I due mausolei realizzati in precedenza da Canova a Roma per papa Clemente XIV Ganganelli (Santi Apostoli) e papa Clemente XIII Rezzonico (San Pietro), anche se di eccezionale qualità tecnica e inventiva, si inseriscono in una linea di continuità con la struttura compositiva delle tombe papali seicentesche e riprendono gli schemi berniniani sia pure sottoponendoli a una radicale depurazione, sottolineando la distinzione e la scansione delle forme e riducendo all'essenziale l'iconografia; con il complesso viennese, avviato da Canova dopo i quarant'anni, lo scultore entra in una nuova e ancor più decisamente matura fase della carriera. Nelle tombe dei papi il maestro, ancora relativamente giovane, si era posto in confronto con la storia della scultura a Roma, da Michelangelo a Bernini, e appunto in questa chiave, con gli strumenti propri della critica d'arte, le sue opere sono state interpretate dai contemporanei.

Nel monumento a Maria Cristina, preceduto e accompagnato dalla intensa partecipazione alle vicende storiche, politiche e culturali di un'epoca drammatica, Canova sposta l'obiettivo su un piano più ampio e generale, abbandonando coraggiosamente i riferimenti iconografici precedenti. II ricorso alla antichissima tipologia della piramide, i costumi «senza tempo» dei personaggi rimandano all'eterno, lacerante mistero della scomparsa. Canova stesso descrive il proprio lavoro, e soprattutto il desiderio di coinvolgere tutti i personaggi in un momento narrativo ed emotivo unitario: «Non avrei preferito una composizione allegorica se il Principe non m'avesse egli stesso le figure simboliche prescritto: io ho cercato tuttavia raggrupparle in maniera che potessero avere più tosto una azione che una allegoria (...). Ogni artista ha il suo genio a parte; io mi tenni pago per la Cristina a una specie di pompa funebre nell'atto che si recano le ceneri al sepolcro, e se questo mio intendimento è chiaro e si legge da tutti, sono contento».